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(1157-1158) pensieri 449

tosto, o nella massima parte, dagli scrittori o dal ripulimento della rozza lingua latina antica.


     Il concorso delle vocali suol essere accetto generalmente alle lingue (se non altro de’ popoli meridionali d’occidente) tanto piú, quanto elle sono piú vicine ai loro principii, ovvero ancora quanto sono piú antiche e quanto piú la loro formazione si dové a tempi vicini alla naturalezza de’ costumi e de’ gusti. Per lo piú vanno perdendo questa inclinazione col tempo e col ripulimento, e si considera come duro e sgradevole il concorso delle vocali che da principio s’aveva per fonte di dolcezza e di leggiadria. La lingua latina che noi conosciamo, cioè la lingua polita e formata e scritta, non ama il concorso delle vocali, perch’ella fu polita e formata e scritta in tempi appunto politi e civili e i piú lontani forse dell’antichità dalla prima naturalezza, nell’ultima epoca dell’antichità, presso una nazione già molto civile ec. Per lo contrario, la lingua greca, stabilita e formata e ridotta a perfette scritture in tempi antichissimi, gradí nelle scritture il concorso delle vocali, lo considerò come dolcezza e dilicatezza; e perciò la lingua greca che noi conosciamo e possiamo conoscere, cioè la scritta,  (1158) ama il concorso delle vocali, specialmente quella lingua che appartiene agli scrittori piú antichi e nel tempo stesso piú grandi, piú classici, piú puri e piú veramente greci.


     E siccome la prosodia greca era già formata ai tempi di Omero (sia ch’egli la trovasse o la formasse da se), la latina lo fu tanti e tanti secoli dopo, cosí fra la poesia dell’una e dell’altra lingua si osserva una notabile differenza in questo proposito, la quale conferma grandemente il mio discorso. Ed è che nella poesia latina, se una parola finita per vocale è seguita da un’altra che incominci per vocale, l’ultima vocale della parola precedente è mangiata dalla seguente, si perde e non si conta fra le sillabe del verso. All’op-