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418 pensieri (1117-1118)

moltiplicare l’uso delle radici, senza confonderne i significati

abbonda la lingua italiana in modo singolare, e piú (credo io) che la latina e la stessa greca; ma, de’ continuativi manca affatto, se alle volte non dà come mi pare, questo o simile significato a qualche frequentativo o vogliamo spesseggiativo; vedi p. 1155. Manca pure, cred’io, la detta facoltà alla lingua greca, sí gran maestra nel diversificare e modificare le sue radici e moltiplicare le significazioni; ma per affermarlo mi bisognerebbe piú lunga considerazione. E nella stessa lingua latina, ch’ebbe questa bella facoltà da principio, sembra che poi andasse in disuso e in dimenticanza, continuando forse talvolta ad usarsi, con formare nuovi verbi di tal fatta, ma con una nozione confusa e non precisa del valore di tal formazione e con significato non ben distinto dagli altri verbi, come fecero pure de’ continuativi già formati e introdotti.  (1118) Giacché negli stessi antichi grammatici o filologi latini de’ migliori secoli non trovo notizia né osservazione positiva di questa proprietà della loro lingua. Vedi p. 1160.

Vo anche piú avanti e dico che, secondo me, quasi tutti i verbi latini terminati nell’infinito in tare o tari (dico tare, non itare) non sono altro che continuativi di un verbo positivo o noto o ignoto oggidí, e spesso andato anticamente in disuso, restando solo i suoi derivati o il suo continuativo, adoperato quindi bene spesso in vece sua. E credo che l’infinito di detti verbi in tare o tari indichi il participio del verbo positivo o il supino, troncando la desinenza in are o ari, e ponendo quella in us o in um: come optare, secondo me, dinota un participio optus, di un verbo primitivo e sconosciuto, di cui optare sia il continuativo. E mi conferma in questa opinione il vedere in alcuni di questi verbi conservato per anomalia, come abbiamo notato in visere, un participio che non pare appartenente se non ad un altro verbo primitivo e