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(703-704-705) pensieri 141



*    Non possiamo né contare tutti gli sventurati né piangerne uno solo degnamente.


*    Allo sviluppo ed esercizio della immaginazione è necessaria la felicità o abituale o presente e momentanea; del sentimento, la sventura. Esempio, me stesso: e il mio passaggio dalla facoltà immaginativa alla sensitiva, essendo quella in me presso ch’estinta (28 febbraio 1821).  (704)


*   L’uomo dev’esser libero e franco nel maneggiare la sua lingua, non come i plebei si contengono liberalmente e disinvoltamente nelle piazze, per non sapere stare decentemente e con garbo, ma come quegli ch’essendo esperto ed avvezzo al commercio civile si diporta francamente e scioltamente nelle compagnie, per cagione di questa medesima esperienza e cognizione. Laonde la libertà nella lingua dee venire dalla perfetta scienza e non dall’ignoranza. La quale debita e conveniente libertà manca oggigiorno in quasi tutti gli scrittori. Perché quelli che vogliono seguire la purità e l’indole e le leggi della lingua non si portano liberamente, anzi da schiavi. Perché non possedendola intieramente e fortemente, e sempre sospettosi di offendere, vanno cosí legati che pare che camminino fra le uova. E quelli che si portano liberamente hanno quella libertà de’ plebei, che deriva dall’ignoranza della lingua, dal non saperla maneggiare e dal non curarsene. E questi, in comparazione  (705) degli altri sopraddetti, si lodano bene spesso come scrittori senza presunzione. Quasi che da un lato fosse presunzione lo scriver bene (e quindi anche l’operar bene e tutto quello che si vuol fare convenientemente fosse presunzione), dall’altro lato scrivesse bene chi ne dimostra presunzione. Quando anzi il dimostrarla, non solamente in ordine alla buona lingua ma a qualunque altra dote della scrittura, è il massimo vizio nel quale scrivendo si possa incorrere. Perché insomma