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(645-646-647) pensieri 111

di non  (646) essermi regolato secondo questo pensiero (11 febbraio 1821).


*    Nessun secolo de’ piú barbari si è creduto mai barbaro, anzi nessun secolo è stato mai, che non credesse di essere il fiore dei secoli, e l’epoca piú perfetta dello spirito umano e della società. Non ci fidiamo dunque di noi stessi nel giudicare del tempo nostro e non consideriamo l’opinione presente, ma le cose, e quindi congetturiamo il giudizio della posterità, se questa sarà tale da poter giudicarci rettamente (12 febbraio 1821).


*    La somma della teoria del piacere, e si può dir anche della natura dell’animo nostro e di qualunque vivente, è questa. Il vivente si ama senza limite nessuno e non cessa mai di amarsi. Dunque non cessa mai di desiderarsi il bene e si desidera il bene senza limiti. Questo bene in sostanza non è altro che il piacere. Qualunque piacere, ancorché grande, ancorché reale, ha limiti. Dunque nessun piacere possibile è proporzionato ed uguale alla  (647) misura dell’amore che il vivente porta a se stesso. Quindi nessun piacere può soddisfare il vivente. Se non lo può soddisfare, nessun piacere, ancorché reale astrattamente e assolutamente, è reale relativamente a chi lo prova. Perché questi desidera sempre di piú, giacché per essenza si ama, e quindi senza limiti. Ottenuto anche di piú, quel di piú similmente non gli basta. Dunque nell’atto del piacere o nella felicità, non sentendosi soddisfatto, non sentendo pago il desiderio, il vivente non può provar pieno piacere; dunque non vero piacere perché inferiore al desiderio e perché il desiderio soprabbonda. Ed eccoti la tendenza naturale e necessaria dell’animale all’indefinito, a un piacere senza limiti. Quindi il piacere che deriva dall’indefinito, piacere sommo possibile, ma non pieno, perché l’indefinito non