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(420-421-422) pensieri 459

*   Alla p. 416. L’ignoranza parziale può sussistere, come ho detto, anche nell’uomo alterato dalla ragione, anche nell’uomo ridotto in società. Può dunque servire di stabile fondamento a un maggiore o minor numero di credenze naturali; dunque tener l’uomo piú o meno vicino allo stato primitivo, dunque conservarlo piú o meno felice. Per  (421) conseguenza quanto maggiore per estensione, e per profondità sarà questa ignoranza parziale, tanto piú l’uomo sarà felice. Questo è chiarissimo in fatto, per l’esperienza de’ fanciulli, de’ giovani, degl’ignoranti, de’ selvaggi. S’intende però un’ignoranza la quale serva di fondamento alle credenze, giudizi, errori, illusioni naturali, non a quegli errori che non sono primitivi e derivano da corruzione dell’uomo o delle nazioni. Altro è ignoranza naturale, altro ignoranza fattizia. Altro gli errori ispirati dalla natura e perciò convenienti all’uomo e conducenti alla felicità; altro quelli fabbricati dall’uomo. Questi non conducono alla felicità, anzi all’opposto, com’essendo un’alterazione del suo stato naturale, e come tutto quello che si oppone a esso stato. Perciò le superstizioni, le barbarie ec. non conducono alla felicità, ma all’infelicità. Vedi p. 314. Quindi è che, dopo lo stato precisamente naturale, il piú felice possibile in questa vita, è quello di una civiltà media, dove un certo equilibrio fra la ragione e la natura, una certa mezzana ignoranza,  (422) mantengano quanto è possibile delle credenze ed errori naturali (e quindi costumi, consuetudini ed azioni che ne derivano); ed escludano e scaccino gli errori artifiziali, almeno i piú gravi, importanti e barbarizzanti. Tale appunto era lo stato degli antichi popoli colti, pieni perciò di vita, perché tanto piú vicini alla natura, e alla felicità naturale. Le religioni antiche pertanto (eccetto negli errori non naturali e perciò dannosi e barbari, i quali non erano in gran numero, né gravissimi) conferivano senza dubbio alla felicità temporale molto piú di quello