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(239-240) pensieri 335

deltà non abbia che fare col tuo carattere (11 settembre 1820).


*   Non per altro che per odio della noia vediamo oggidí concorrere avidamente il popolo agli spettacoli sanguinosi delle esecuzioni pubbliche e a tali altri, che non hanno niente di piacevole in se (come potevano averne quelli de’ gladiatori e delle bestie nel circo, per la gara, l’apparato ec.) ma solamente in quanto fanno un vivo contrasto colla monotonia della vita. Cosí tutte le altre cose straordinarie, e perciò gradite, benché non solo non piacevoli, ma dispiacevolissime in se.


*   Dall’orazione di M. Tullio, pro Archia, si vede che la lingua greca era considerata allora come (240) universale, nello stesso modo che la francese oggidí, e l’uso e intelligenza della lingua latina era ristretta a pochi. Latina suis finibus, exiguis sane, continentur. Perciocché le scritture greche si leggono in quasi tutte le genti, le latine restano dentro a’ loro confini cosí stretti come sono. Cicerone, l. c. E nondimeno l’impero romano fu forse il maggiore di quanti mai si videro, e i romani al tempo di Cicerone erano già padroni del mare ed esercitavano gran commercio. Cosí ora si vede che gl’inglesi sono padroni del mare e del commercio, e sebbene la loro lingua è perciò piú diffusa di molte altre, nondimeno non è né conosciuta né usata universalmente, ma da pochi in ciascun paese, e cede di gran lunga alla francese, che non s’è mai trovata favorita da un commercio cosí vasto. Onde si può ben dedurre che la diffusione di una lingua, se ha bisogno di una certa grandezza e influenza della nazione che la parla (perché la lingua francese, per quanto adattata alla universalità, non sarebbe divenuta universale, se avesse appartenuto a una piccola, e impotente nazione, per esempio alla Svizzera), contuttociò dipende