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e giudici severi;

e dall’odio comun ne salva appena
l’alto favor di chi bilancia e vede
qual sia il zelo che il serve, e qual la fede.
Ezechia. Sobna, ed è ver che in onta
a’ giuramenti, a’ patti, e non ben sazio
nella sua ingorda fame
degl’ingoiati nostri ampi tesori,
spinta Sennacherib ha contra Giuda
l’oste sua poderosa?
Sobna. Pur troppo è ver, Lachia e Sobna e l’altre,
che al mezzo di fanno a Giudea riparo,
forti cittá, cinte di tende d’armi,
temon rovina o servitú. La stessa
Gerusalem n’è minacciata. Al fido
popolo sbigottito
udir sembra il nitrito e il calpestio
de’ feroci destrieri, e di lontano
veder globi di polve assai piú neri
di quei che all’aratore
fan sulla messe impallidir la guancia.
Giá di Salmanasar l’avaro erede
conta fra’ suoi trionfi
anche i nostri spaventi, e forse ancora
sogna e si finge in suo pensier giulivo
Solima presa ed Ezechia cattivo.
Re, dall’altrui timore
non giudicar di me.
Ti diedi ne’ consigli
prova di falsa fé,
e forte ne’ perigli
avrò fermezza e core
anche a morir per te.
Ecco i tuoi duci, i tuoi soldati. In viso
di mortai pallidezza aspersi e tinti;
paioli, pria che assaliti, esser giá vinti.