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Abia. Di che temer? Dal collegato Egitto

verran pur numerose aste e quadrighe
in soccorso di Sion. Tutte all’intorno
son pur chiuse le fonti, onde al nimico
sia tolto il ristorarsi in sete ardente;
alla cittá, di nuove torri armata,
piú non resta a temer nimici assalti,
e copia immensa di loriche e scudi
stancò pur sulle incudi
di cento fabbri le robuste braccia.
Sobna. Ma qual miglior provvedimento all’uopo
dar si potea? Regina,
tu di mente sublime al par del grado,
perché tacerlo?
Abia. Eh, l’aver parte, o Sobna,
negli affari di stato,
sia costume o sia legge, ognor si vieta
a femmina e a profeta.
Se alzar potessi ’l velo,
che sta coprendo il core
di chi consiglia un re,
conoscerei che zelo
tutto in quel cor non è,
né tutto è fedeltá.
Vi scorgerei quel bieco
livor che il preme e il rode,
quell’interesse cieco,
quel pazzo amor di lode,
quel lusingar che piace,
ma che tradisce e tace
giustizia e veritá.
Sobna. Di noi che al regio fianco
assidui siam, la dura sorte è questa,
esser soggetti a rie censure. Ogni opra,
ogni detto, ogni passo
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