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Sparta questa non è, né al re tuo padre

toccò Andromaca in sorte. Ella è mia spoglia;
e se a te sembra giusto,
col titol nuzial che ancor non hai,
usar libero impero
sul mio core e sui miei, giusto anch’ io trovo
sfuggir noia e servaggio. Io non vo’ moglie
che mi rechi per dote insulti e liti,
né sposo sofferente esser m’aggrada.
Ermione. Né d’ira né d’orgoglio
qui venni armata ad insultarti, o Pirro.
Sposa venni a quel nodo, a cui giá furo
pronubi i nostri padri.
O nodo infausto! o mal lasciata Sparta!
Per la vedova d’ Ettore si sprezza
di Menelao la figlia; e ch’io l’oltraggio
abbia a soffrir? Nipote
son degli Atridi, e quel poter, che valse
nella lor casa a vendicare un ratto,
punir saprebbe anche un ripudio. Ah, Pirro!
Contra la Grecia non ripigli l’armi
la Grecia. A tanta guerra
Andromaca è vii prezzo. Il torto e il danno
prevenir volli con esilio o morte,
togliendola al tuo fianco.
Se questo sia risse portarti in dote,
o levarne il pretesto, amor tei dica.
Pirro. Amor? Eh, tra di noi
questo nome si taccia. A te dispiace
non che Pirro non t’ami,
ma che Pirro ti sprezzi. Ormai parliamo
liberi. In questo solo
convengon le nostre alme: in non amarci.
Tu in Oreste, io in Andromaca l’oggetto
abbiam del nostro affetto.
Me con questa il mio Epiro e te con quello