Pagina:Zeno, Apostolo – Drammi scelti, 1929 – BEIC 1970951.djvu/170

Vuoi tu ch’esule io vada?

Me le libiche avranno
nude foreste ed infocate arene.
Vuoi che del mio tacer soffra il gastigo?
punir la colpa? In queste vene, in queste
viscere ne ricerca il sangue, il core,
il ministro e l’autore.
Alza, quel ferro, ed egli,
che strumento per te fu di salvezza,
per me lo sia di pena.
Giulia. (11 cor si spezza.)
(a Sallustia) Non piú; ché alfin né il latte
succhiai da tigre ircana,
né mi cingono il sen freddi macigni.
Con questo acciar poc’anzi
minacciai la tua vita,
ma in quell’atto crudel sentia che il ferro
mi tremava sul braccio.
Detestava l’iniqua
necessitá del colpo;
mi faceva piú orrore
la difesa che il rischio,
e innamorata allor di tua virtute
a tal prezzo temea la mia salute.
Sallustia. Magnanima pietade!
Giulia. Vattene or, tu di morte
barbaro ordigno, a terra!
E tu, vinte giá l’ire,
dissipati i timori, o mia diletta,
vieni nelle mie braccia,
vieni al sen, vieni al cor, vieni e m’abbraccia.
Sallustia. O ben sofferte pene
che mi rendon quel cor...
Giulia. Piú non si parli
di ripudio e di esiglio.
Ai contenti, alle glorie, al trono, al figlio !