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dovettero essere coniati in quantità considerevole, se li troviamo indicati fin anche in istromenti del secolo XIV rogati a Napoli. Del pari le monete di rame, che il Fusco1 vorrebbe rivendicare a quella città ed a Mansone III che nel 1042, abbacinato e bandito dal fratello Giovanni, fu richiamato da Guaimario principe di Salerno a governare la debellata Amalfi in suo nome, ho preferito di attribuire alla zecca salernitana ed a Mansone II di Amalfi; non mi sapendo mai persuadere come Guaimario, sì geloso della propria dignità, abbia potuto spogliarsene in favore del cieco rappresentante, tollerando che, invece del proprio nome, quello si leggesse di Mansone III sulle monete; nè come sulle sole monete lo spodestato principe assumesse il predicato di viceduca, del quale niun monumento contemporaneo cel mostra mai insignito. Conchiudendo pertanto dirò, non conoscersi ancora moneta che sia con sicurezza da attribuire ad Amalfi.

A questo punto, mi è impossibile il non comprendere nel presente prospetto un rapido cenno delle zecche di là dal faro. Non ha dubbio che le monete degli emiri siciliani dei califfi fatimiti spettino a Palermo, dove è opinione del principe di Torremuzza2 che pure si contromarcassero le monete romane e greche con arabe epigrafi. Dalla bolla di papa Alessandro IV de’ 5 settembre 1255, emanata a favore di quella città durante la minorità di Corradino di Svevia, rileviamo che quella officina erasi mantenuta operosa anche sotto il regno di Ruggeri, de’ Guglielmi e dell’imperatore Federico, comechè si sappia che la precipua dell’isola a’ tempi dei normanni e degli svevi quella fu di Messina. Confermò, è vero, papa Alessandro gli antichi privilegii; ma credo che la importanza della zecca palermitana andasse gradatamente scemando, e fors’ancho essa rimanesse affatto inattiva ne’ primi anni di Carlo di Angiò. Messina e

  1. Salv. Fusco, Intorno ad alcune monete di Amalfi, memorie ins. negli Atti dell’Accademia Pontaniana, T. V, p. 5 e seg.
  2. Gabriele Lancillotto Castello principe di Torremuzza, Memoria delle zecche del regno di Sicilia, ins. negli Opuscoli Siciliani, T. XVI.