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     Catena, ond’ella ha il fianco intorno avvinto,
     Erge la Coscienza mal secura,
     Il mesto volto di pallor dipinto;
5E grida ad alta voce, e m’assicura,
     Che per cammin fallace erro sospinto
     Dal rio costume, e che il crudel d’oscura
     Nebbia a me il Vero ha ricoperto e cinto:
Onde invan spero, senz’alta virtute
     10Divina, uscir dell’intricato calle;
     E ch’omai di chiamarmi il Cielo è stanco.
Io l’odo e tremo, e vorrei pur salute;
     Ma al rio sentier non so volger le spalle,
     E notte viene, ed ho il nemico al fianco.


III1


O Auguste Donne, o dell’antico e chiaro
     Tronco Estense bei germi, a Voi si debbe
     Che il miserando, e crudel fin non ebbe
     Questo lavoro sovr’umano, e raro;
5Lavor di lui, che in riva al bel Panaro
     Nacque, e pingendo a tant’onor quì crebbe,
     Che invidia il Tebro all’Arno esser potrebbe,
     Nè forse ha Grecia chi por seco al paro.
Sì, senza Voi l’opre, chè intatte or vede
     10Bologna ancor, sarìan polve; e ruine,
     E a’ Saggi di dolor vivo argomento.
Ah perch’egli non torna! Egli in mercede
     Vostre leggiadre forme alme e divine
     Farebbe oggetto a cento lustri, e cento.


IV


Sovra me stesso oltre il poter mortale
     Alzar mi sento, e già fatto men grave
     Spazio per la celestè aria soave,
     E tu, saggio Signor, m’impenni l’ale.

  1. Alle Principesse d’Este, che salvarono in Bologna le pitture inestimabili di Nicolò dell’Abate.