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E tra lor veggio me, che pien d’orrore
Spargo vane querele, inutil voce.
E scorgo al fin che di mie tante pene
10Cagione è solo il dolce ardor, ch’elice
Dagli occhi suoi la mia tiranna Irene.
Indi fiero destino odo, che dice:
Soffi misero pur le tue catene,
Che sperar libertade a te non lice.
III1
Forte Campion, ch’in sul bel fior degli anni
De’ due cammini al destro il piè volgeste,
E tai sproni di gloria al fianco aveste,
Che sprezzaste di morte acerba i danni.
5Voi ne giste a gioire, e noi d’affanni
Colmi lasciaste in cure aspre e moleste;
Pianse Roma il suo fato, e intanto feste
Con vostre Opre stancar di Fama i vanni.
Superbo è il Pò del vostro sangue tinto,
10Che per voi la sua Reggia aver non mira
Da germanico ferro il piede avvinto.
E in voi confuse Italia tutta ammira
Di sue speranze il più bel fiore estinto,
E sulla vostra tomba egra sospira.
IV
Erano i miei pensier rivolti altrove,
Allor che Dio vibrò di grazia un raggio,
Che chiamolli, e gustar fe’ lor un saggio
Dell’alto immenso ben, ch’egli a noi piove.
5E qual Ape, se in Ibia avvieni che trove
Più dolce umor, s’arresta in suo viaggio;
Tal l’intelletto mio reso più saggio
Tutto s’immerse in le delizie nuove.
Finch’ei per lor dal basso fango tolto
10Se vide in Cielo appo il divino Amore,
- ↑ In morte del Maggior Riviera, morto in fatto d’Armi.