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V
L’arte che intenta è ad animar colori,
Nacque dal braccio eterno, allorch’ei cinse
D’alti prodìgi il terren globo, e fuori
Da lunga notte i rei sepolti spinse.
5Allora ei fu, che d’incliti lavori
L’ampia tela del Mondo impresse e tinse
Il Mar di perle, il Suol di piante e fiori,
E di astri luminosi il Ciel dipinse:
Ma se quando ei formò nostra Natura,
10E all’immagine sua la volle assunta,
Comparve allor di lui l’opra più pura;
Sia dunque all’arte della man congiunta
Quella di riformar l’alta figura,
Sovente in noi da lungo error consunta.
VI
Come vago usignuolo in gabbia stretto,
Ne i primi giorni ha de’ suoi lacci orrore,
Ma a poco a poco entro l’angusto tetto
Va temprando col canto il suo dolore;
5Tal’ io mi dolsi, allor ch’ebbi ricetto
Presso al discreto mio dolce Signore;
Ma de’ miei nodi alfin presi diletto
Per lunga usanza e per fedele amore.
Pur la mia mente al suo principio avvezza,
10Dopo sì stretta prigionìa sovente
Al primo stato ha di tornar vaghezza.
Così ancor l’usignuol spesso non sente
La man del suo Signor che l’accarezza,
Quando sua libertà tornagli a mente.
VII
O chiara, invitta e gloriosa Donna,
Donna di nostra umanità reina,
Che l’eccelsa di noi parte divina
Tieni, e de l’alma sei salda colonna:
5Soccorso, ohimè, che già di me s’indonna
Il folle amore, e nuovi strali affina,