Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
160 |
D’improvviso a me volge un guardo Fille:
Torna tosto il nemico a guerra farmi.
Chè ponno del mio Sol più le pupille,
Che non può la Ragion con tutte l’armi.
III
Ecco, Erasto, il bel colle altero e santo,
Che al magnanimo Almano il piè conduce;
Qui vedrem Poliarco, e vedrem quanto
In lui di gloria e maestà riluce.
5Tu, che di spesso contemplarlo hai vanto,
Fammi presso di lui da padre e duce;
Ch’io non ho ’l guardo già saldo cotanto,
Che regger possa alla soverchia luce.
Pur coll’esempio tuo lena e fortezza
10Destando ne’ miei spirti, all’alta mole
Forse anch’io poggerò di sua chiarezze.
Così tu mi farai, come far suole
L’augel di Giove, allor che i figli avvezza
A fissar le pupille in faccia al Sole.
IV1
Arser gran tempo in Ciel d’ira e di sdegno
Il Dio guerriero, e l’erudita Dea,
Chè un la man coltivar, l’altra l’ingegno,
Ei coll’armi, e coll’arti ella volea.
5Intanto d’armi ostili Italia segno
L’inesorabil Nume ognor facea:
E la placida Diva in ozio indegno
L’opre, e i talenti illanguitir vedea.
Quando un astro novello a mirar prese
10La più bella di Europa afflitta parte,
E di pace destò le antiche imprese.
Allor tornò nel prisc’onore ogni arte,
Tosto che il caldo de’ bei raggi intese,
E si strinsero in Ciel Minerva e Marte.
- ↑ Per la Pittura, Scoltura, ed Architettura.