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     Il Ciel la Terra, ove penetra e scende.


XIX


Apri lo sguardo, Alma infelice, e mira;
     Ben’otto lustri il viver nostro ha corso,
     L’altre vien dietro, che ne preme il dorso;
     E pur anco si tresca e si delira?
5E tempo omai, che all’indomabil’ira
     Ponga Ragione imperiosa il morso;
     Tempo è che volga a miglior’uso il corso
     Del van piacer, che a lacrimar ne tira.
Andiamo, andiam, non per obliqua e ria
     10Strada de’ vizi, ma ove gir conviene,
     Se pur qualch’anno resta a noi di via.
Non torca il piè dal sommo ultimo Bene;
     Che quanto più dal fine suo travia,
     Tanto è minor dell’arrivar la spene.


XX


Nume non v’è, dicea fra se lo Stolto.
     Nume non v’è, che l’Universo regga;
     Squarci l’Empio la benda, ond’egli è avvolto
     Agli occhi infidi; e se v’ha Nume, ci vegga.
5Nume non v’è? Verso del Ciel rivolto
     Chiara il suo inganno in tante stelle ei legga
     Speglisi, e impresso nel suo proprio volto
     Ad ogni sguardo il suo Fattor rivegga.
Nume non v’è? De’ fiumi i puri argenti,
     10L’aer che spiri, il suolo ove risiedi,
     Le piante i fior l’erbe l’arene, e i venti
Tutti parlan di Dio; per tutto vedi
     Del grand’esser di lui segni eloquenti:
     Credilo Stolto a lor, se a te nol credi.


XXII


Io miro e veggio ampia ammirabil scena:
     Veggio venir col crin canuto, e bianco
     Il Tempo domator coll’ali al fianco,
     E lunga avvolta a braccio atra catena.
5E gli anni e i lustri al destro lato e al manco