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guardando il ragazzo che correva di qua e di là, sul ponte, per dare una mano ai marinai - perchè avrei voluto che diventasse così anche il mi’ povero figliuolo!..

E, alle volte, gli scendevano due lacrime giù per le guancie abbrustolite dal sole e dal salso.

Sicchè, una sera, il capitano Mangiavento disse, abbracciando e baciando Ciuffettino:

— Sono ormai dieci giorni che ti porti bene. In premio, finchè sarai buono, ti terrò a cena con me, nella mia cabina, tutte le sere.

Figuratevi la felicità del ragazzo, che delle aringhe affumicate non ne poteva più!...

Per colmo di gentilezza, dopo cena, padron Mangiavento distese un pigliericcio ai piedi del suo letto, e invitò Ciuffettino a dormire, perchè, francamente, a lasciarlo in fondo alla stiva, con quel puzzo e quella muffa gli rincresceva.

Così si tirò innanzi altri quattro o cinque giorni: il nostro eroe faceva miracoli, e in tutto quel tempo non si meritò che dodici scappellotti soli dal capitano, per dodici differenti birichinate. Dodici in cinque giorni!...

E non basta.

Aveva ripreso anche a scrivere; la cosa può sembrare inverosimile, ma è assolutamente vera; aveva ripreso a scrivere. Che cosa? Quello che gli passava pel capo. Mastro Mangiavento gli aveva regalato un libriccino, un lapis, e un temperino a due lame, di vero metallo nichele più che si porta e più diventa lucido: e Ciuffettino, di tanto in tanto, copriva alcune paginette del libriccino di un carattere irregolare e tremebondo. Ecco qualche saggio:

«Quesa matina dichono imarinari che ce bonacca1 Ma sispera che cambi che senò citocca di stare costi ha no far nulla.

  1. Evidentemente Ciuffettino voleva scrivere bonaccia.