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E sul principio, le cose andarono piuttosto benino. Il nostro eroe, istintivamente, imitava a meraviglia il saltellare e l’agitarsi dei burattini, e infilava un mucchio di stupidaggini che mandavano in solluchero gli spettatori.

Ma purtroppo.... di lì a un certo tempo, quelle birbe si stancarono di vedere un ragazzo su quelle scene sacre alle teste di legno, e un lungo mormorio di malcontento si innalzò dalle prime file delle sedie. I più facinorosi lanciarono delle esclamazioni di questo genere.

— Ohe, Facanapa! smettila!...

— Ritirati... ci hai una faccia di freddo!...

— Basta!... tu non sei un burattino, ma un asino!...

— Ohe! Spellacane!... rimetti fuori Facanapa, quello di legno!

— Almeno, quello apre la bocca e muove gli occhi!

— Basta... va’ via, va’ via!...

Ciuffettino, impaziente, si piantò su le due gambuccie qualche momento, dinanzi alla ribalta, tenendosi le mani su i fianchi in atto di sfida. Ma Spellacane, per evitare un guaio, dette uno strappone al filo di ferro che teneva il bimbo, e questo tornò a volare per l’aria, con somma gioia della ragazzaglia.

Il nostro eroe divenne rosso come un gambero, e gettò fiamme dagli occhi: voleva protendere le braccia, stendere le gambe, voleva fare mille gesti minacciosi, e si imbrogliava nei fili, e non riusciva che ad eseguire delle mosse talmente comiche, da far scoppiare dalle risa un moribondo.

Descrivervi gli urli, i fischi, gli applausi ironici, le risate clamorose di quel pubblico screanzato, sarebbe impossibile. Più Ciuffettino si arrabbiava e si agitava, più i monellacci sghignazzavano e berciavano...