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prontamente a destra e a sinistra con pungenti esclamazioni. Cagione di ciò era un individuo che lineamenti e costume rivelavano Ebreo. Il suo mantello di tela bianca, era allacciato al collo con dei cordoni di seta gialla svolazzanti liberamente sulle spalle; il suo abito riccamente ricamato, una fusciacca rossa con frangie d’oro gli girava parecchie volte intorno alla vita; la sua fisonomia era calma, egli sorrideva anche a coloro che in modo rozzamente frettoloso, gli facevano largo. Un lebbroso? No; egli era solo un Samaritano. La folla che si allontanava, se interrogata, avrebbe risposto che egli era un mulatto, un assiro; il solo contatto del suo abito era così ripugnante che un Israelita, nemmeno se in agonia, avrebbe a prezzo di tale contatto accettata la vita. Quando Davide pose sul monte Sion il suo trono col solo aiuto di Giuda, le dieci tribù si stabilirono a Sheckem, una città molto più vecchia e a quel tempo infinitamente più ricca di sacre memorie. L’unione finale delle tribù non acquetò la disputa cominciata. I Samaritani difendevano i loro tabernacoli per Gerizim e mentre sostenevano superiore la loro santità, ridevano degli irati dottori di Gerusalemme. Il tempo non mitigò il loro odio. Sotto Erode la conversione alla fede era aperta a tutto il mondo eccetto che ai Samaritani. A loro soli era proibita assolutamente, e per sempre, la comunanza cogli Ebrei.

Mentre il Samaritano si incamminava sotto l’arco della porta di là uscirono tre uomini così diversi da tutti quelli da noi finora veduti.

Essi erano di una statura straordinaria, e di una straordinaria complessione; i loro occhi erano azzurri e la loro carnagione tanta delicata che il loro sangue traspariva attraverso la pelle come azzurre pennellate; i loro capelli pure chiari e corti, le teste piccole e rotonde, riposavano ferme sui colli come tronchi d’albero, tuniche di lana aperte sul petto, senza maniche, fermate con una larga cintura, avvolgevano il loro corpo lasciando scoperte le braccia e le gambe talmente forti che si sarebbero dette di gladiatori; e quando vi aggiungessimo i loro modi trascurati, confidenziali ed insolenti, non ci meraviglieremo che il popolo lasciasse loro il passo, si fermasse e si voltasse addietro dopo che erano passati per dar loro un’ultima occhiata. Erano giuocatori nell’arena, lottatori, corridori, pugillatori, schermidori, professionisti sconosciuti nella Giudea prima della venuta dei Romani, i quali, eccettuato il tempo che dedicavano all’addestrarsi e al gironzolare