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ranza del Nirvana sorreggeva ancora l’Indiano sopra l’arido cammino di Brama; la bellissima anima Greca quando non disputava di filosofia, cantava gli Dei e gli eroi d’Omero; mentre, in Roma, nulla era più comune o a miglior mercato degli Dei. Secondo il capriccio del momento questi padroni del mondo portavano la loro adorazione e i loro sacrifici ora a questo ora a quell’altare, rallegrandosi e deridendo il caos che avevano creato. Dopo aver usurpate tutte le divinità del mondo, deificavano i loro Cesari, davan loro altari e sacerdoti. No, la infelicità dei tempi non era cagionata dalla religione, ma dal mal governo, dalle infinite angherie e delle usurpazioni dei tiranni. Il baratro acheronteo in cui gli uomini erano caduti e da cui imploravano un uomo liberatore, derivava da cause politiche soltanto. La preghiera, uguale dappertutto, a Londra, al Alessandria, ad Atene, a Gerusalemme, era per un Re liberatore e vittorioso, non per un Dio da adorarsi.

Studiando quell’epoca dopo il lasso di duemil’anni, noi vediamo e riconosciamo che, solo sul terreno religioso, solo per l’avvento del vero Dio potevano diradarsi le tenebre e la confusione di quell’età; ma gli uomini d’allora, anche le menti più acute e serene, non scorgevano altra salvezza fuorchè nella rovina, nell’umiliazione di Roma; con la caduta del tiranno tutto sarebbe mutato; da ciò le preghiere, le congiure, le rivolte, i sacrifici, le morti, le lacrime ed il sangue invano prodigati.

Ben Hur conveniva perfettamente con l’opinione prevalente fra i suoi contemporanei non Romani.

I cinque anni trascorsi nella metropoli gli avevano offerto modo di studiare da vicino le sventure degli oppressi, e lo avevano persuaso che i mali che affliggevano il mondo erano essenzialmente d’ordine politico e potevano essere guariti soltanto con la spada. Con questo intento, per potere un giorno applicare al mondo questo rimedio eroico, era venuto in Oriente.

Nelle palestre di Roma s’era reso famigliare con l’uso delle armi; ma l’arte della guerra ha bisogno di altre scuole, dove l’intelligenza si acuisce e si addestra non meno del corpo.

Il compito del duce, il più arduo di tutti, non poteva essere studiato che sui campi di battaglia.

Questo disegno inoltre abbracciava anche i minori propositi di vendetta ch’egli covava.

Egli pensava, e non senza ragione, che i suoi torti in-