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vae victis! 211

io sono stata in collegio a Bruxelles.» Infatti il suo accento francese era perfetto, diverso dal parigino soltanto per quel vezzo che hanno i valloni di chiudere le vocali alla finale delle parole. «Già da tempo sarei venuta io stessa a vedervi e pregarvi di fare amicizia colla mia Mary» — e le strinse di nuovo la mano — «di cui la disgrazia ha tanto afflitto il vostro tenero cuore; ma, come avrete forse saputo, mio figlio si è fatto male al foot-ball, e da parecchie settimane io non esco di casa. — Un momento, dottore!» soggiunse, vedendo che questi si accommiatava da suo marito. «Voglio presentarvi alla signora Brandès....» E, volta a Luisa, «Ecco,» disse, «il nostro miglior amico — il dottor Reynolds. Un angelo d’uomo, e uno scienziato valente.»

«Ci conosciamo,» disse il dottor Reynolds stringendo la mano a Luisa e guardandola bene in viso con que’ suoi occhi miopi e penetranti. «La figlioletta di Madame Brandès,» soggiunse rivolto alla signora Yule, «è una mia piccola paziente.»

«Ah, davvero?» disse quella.

Vi fu un momento di silenzio; poi il medico, volgendosi al Vicario, abbassò la voce:

«È un caso pietosissimo. La loro abitazione è stata invasa, e pare che la bambina ne abbia