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vae victis! 153

curezza di sè. Girava per la casa dicendo a tutti: «Ho idea che stasera farò una figura barbina.» E nessuno aveva il tempo o la voglia di contraddirlo.

Circa mezz’ora prima che si dovesse partire egli si trovò con Chérie nell’atrio, aspettando gli altri che stavano ancora vestendosi.

Chérie indossava una veste prestatale da Eva, una veste di mussola bianca con nastri celesti che Giorgio conosceva bene, e gli faceva provare verso di lei un vago senso di fraterna tenerezza. Sua sorella e sua madre erano ancora disopra a fare toletta, ed anche Luisa non era ancora scesa, avendo dovuto mettere a letto Mirella e raccomandarla — in un inglese più febbrile che corretto — alle cure di Mary, la cameriera.

«Farò una figura da perfetto imbecille,» ripetè Giorgio per la millesima volta fissando con cupo sguardo Chérie. «Lo sento nelle ossa.»

«Ma no,» lo incoraggiò essa.

«Ma sì,» asserì Giorgio rabbiosamente. «Ho le mani umide e diaccie. Non potrò far niente.»

«Peccato!» sospirò Chérie scotendo la vezzosa testa.

«Sentite... sentite un po’ che mani,» disse Giorgio stendendogliele perchè essa le toccasse.

«Poveretto!» disse Chérie.