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— Raimonda! Raimonda! — Egli si precipitò ansante. La sollevò. — Raimonda!

Ed ora la trascinava verso la luce, le toccava smarrito la faccia e le mani. Viva!... era viva!

— Dio! Dio! Dio!... Vi ringrazio!

Ella gli si abbandonava molle e inerte tra le braccia, col volto livido e disfatto rovesciato all’indietro, le pupille, vaghe luci lattee, rivulse e semispente. E intorno alle sue labbra socchiuse biancheggiava una lieve traccia di polvere squamosa e lucente.

Con un rinnovato urlo di terrore il giovane la afferrò, la scosse.

— Cos’hai fatto? Parlami! Cos’hai fatto?

E i suoi sguardi folli interrogavano quel viso terreo, quella bocca biancastra; interrogavano tutta la stanza crepuscolare.

D’un tratto egli scorse sul divano, accanto a un fazzoletto sgualcito, una scatoletta, una piccola scatola di cartone aperta.

— Ah! — gridò esterrefatto, — che cosa hai preso? Sciagurata! Che cos’hai preso?

Gemendo la donna gli si abbattè sul petto.

— No... no... Lasciami... lasciami!

— Che cos’è? — urlò lui, sfiorandole la bocca colle mani e poi guardandosi con terrore le dita. — Che cos’è questo?

— No... no... Non ne ho preso! — sin-