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368 annie vivanti


nel mite sole inglese, dove ella, bambina, aveva cullato sull’altalena i suoi fantastici sogni, e da cui, al tramonto, si vedeva l’orizzonte acceso sull’orlo del mondo...


All’indomani del primo concerto a Roma, ecco giungere anche per Anne-Marie la grande lettera bianca, con lo stemma d’oro: le Armi della Real Casa. Le Loro Maestà avrebbero ricevuto al Quirinale l’indomani sera, alle nove, la gentile bambina e grande artista; e l’avrebbero con piacere udita suonare...

E l’indomani sera Adele, Carlotta e Clarissa, felici e perturbate, aiutavano Nancy e Anne-Marie a prepararsi per la loro udienza al Quirinale. Bemolle era fuori di sè, pallido e febbricitante per l’agitazione, al pensiero di dover accompagnare Anne-Marie al pianoforte.

Quando, alle nove precise Nancy e Anne-Marie, colle destre ignude, traversavano la fila di sale — la sala rossa, la sala gialla, la sala azzurra — fino alla sala bianca ed oro, dove i Sovrani li avrebbero accolti, Bemolle li seguì tremando. Dietro a lui veniva un risplendente lacché, in livrea scarlatta, portando il violino e la musica. (I pensieri di Bemolle volarono al villaggetto appiè degli Appennini, dove a quest’ora qualche piccolo lume s’accendeva nel buio...)

La Regina mosse incontro a Nancy e a Anne-Marie. Non era più la Regina di cui il nome di fiore era scritto nel vecchio diario di Nancy. Era una Regina quasi fanciulla, con immensi e risplendenti occhi bruni. E il giovinetto di cui l’effigie, chiusa in un medaglione, posava da tanti anni sul cuore di Nancy, era Re.

La Regina abbracciò Anne-Marie; e rise quando Anne-Marie parlava, e pianse quando Anne-Marie suonò. Anne-Marie la guardava, soggiogata e rapita da quegli occhi straordinari, quegli occhi di fuoco e di velluto, così innocenti che parevano non aver guardato che nelle anime di