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i divoratori 365


Nancy si sentì impallidire.

— Movetevi dunque, — disse l’impresario. — Non morirà, m’immagino, se suona stasera. E il teatro è tutto venduto.

— Mi rincresce tanto, — disse Nancy. — Ma Anne-Marie non deve mai suonare quando è stanca.

— Non dite sciocchezze, mia buona donna, — disse l’impresario, alzandosi. — Se non la svegliate voi, la sveglio io.

E mosse un passo verso la porta della camera dove dormiva Anne-Marie.

Ora, il sonno di Anne-Marie era per tutti una cosa sacra — una cosa di cui si parlava con un dito sul labbro, trattenendo il respiro. Quando Anne-Marie dormiva — quando il piccolo cervello miracoloso, pieno di milioni di note, riposava, — tutto doveva tacere: il mondo doveva fermarsi. Se mai capitava che a Bemolle — passando in punta dei piedi per il corridoio — scricchiolasse una scarpa, subito Nancy e Fräulein si affacciavano con visi esterrefatti, e gli facevano con espressioni di acerbo rimprovero e con gli indici innalzati, segno di star zitto. Sì; il sonno di Anne-Marie era una cosa inviolata e sacrosanta.

Bemolle era rimasto presso la finestra, guardando fuori nel buio, mentre l’impresario parlava con Nancy. Ma al primo passo che questi aveva fatto nella direzione della chiusa porta di Anne-Marie, Bemolle si era lanciato in avanti e con un ruggito di belva inferocita si era scagliato su di lui.

Bemolle era piccolo e grassotto. Ma il suo odio e la sua ira da tanto tempo accumulati gli tennero luogo di forza e di muscoli. In un lampo fu addosso allo sbalordito impresario, graffiandogli la faccia, tirandogli la barba, percuotendolo con agitati pugni, e con le brevi gambe tirandogli dei calci.