Pagina:Vivanti - I divoratori, Firenze, Bemporad, 1922.djvu/26

14 annie vivanti


— Le undici! Sono le undici? — esclamò con gli occhi larghi ed esterrefatti.

— Sì. Ma che cos’ha? Perchè si agita?

— Mio Dio! Il béby! — fece lei ansante. — Ho dimenticato il béby! — e senz’altro si volse e corse via traverso i prati, con i riccioli al vento, e col cappello inzuppato che le batteva sulla gonna nera.

Giunse a casa trafelata e pallida. Vide la nurse, rigida ed aspettante, sulla terrazza.

— Sono in ritardo, Wilson? — balbettò lei.

— Sissignora, — disse la serva, con voce aspra e severa. — Molto in ritardo.

— Oh Dio! e béby? Ha pianto? — chiese Valeria ansante. — Come sta? Cosa fa la mia creatura?...

— La sua creatura — disse la donna austera — ha fame.

III.

Il giovane biondo tornò ogni giorno alla pesca nel torrente, ma non pigliò altro che la sua grossa trota. La ragazza vestita di lutto, coi riccioli e le fossette, non venne più. Le vacanze finirono, ed egli se ne tornò a Londra; ma prima di partire lasciò sulla riva — là dove si erano incontrati — una lettera d’amore per Valeria, puntata a un lembo del crespo nero caduto dal cappello, e fissato con un sasso perchè non volasse via.

Valeria trovò la lettera. Ella era rimasta chiusa in casa una settimana, coll’anima invasa dal pentimento e dal ricordo di Tom. Poi la primavera e la sua giovinezza