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XVI

Irene, siedi a l’ombra
di questo ameno faggio,
e copriti dal raggio
de T infocato sol.

Ogni agnellino intanto
pascolerá tranquillo
la menta ed il serpillo,
di cui verdeggia il suol.

Ma leva da la fronte
il cappellin di paglia...

Chi mai, chi mai t’agguaglia
in grazia ed in beltá?

Gitta il cappel su l’erbe
e lasciati vedere...

Pupille cosi nere
lo stesso Amor non ha.

XVII

O platano felice
ch’io stesso un di piantai,
bello fra quanti mai
levano il capo al ciel;

come si presto, dimmi,
le folte braccia hai stese,
né l’ira mai ti offese
di turbine crudel?

Quel nome che t’ impressi
ne la corteccia verde,
lungi da te disperde
il nembo struggitor.

Aneli’ io lo porto in seno
scritto per man d’ Amore;
ma sento nel mio core
fremere il nembo ognor.