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XLVI

PER NOZZE DI UN RIGUARDEVOLE CONSIGLIERE

mentre si erigeva nella libreria di San Marco il busto di Francesco secondo,
lavoro dell’insigne Canova.

Al fumicar del cimiamo e del nardo
sorgea l’austriaco nume, opra di Fidia,
e sotto il bianco sasso Aristo e Lidia
mano giugneano a mano e sguardo a sguardo.

Diceva Aristo: — Quell’acuto dardo
che per te, dolce sposa, il cor m’insidia,
dardo non è de la faretra gnidia,
ma vien dal bel pensiero onde tutt’ardo.

Vorrei, se il ciel tanta speranza adempie,
tígli vedermi, in cui spirar quel sacro
zelo che le onorate alme riempie.

Vorrei trarli gioioso al simulacro,
e incoronando le marmoree tempie,
due volte replicar: — Te li consacro.

XLVII

PER NOVELLO PARROCO W

Tirsi che fa? Quando l’aurora s’alza
e di fresche rugiade i campi allatta,
fuor de l’angusto letticciuolo sbalza
e mena il gregge a la piú verde fratta.

Ivi su l’erbe nude il fianco adatta
e tien lo sguardo a la montana balza,
ove il crudele, il traditor si appiatta,
che a l’agne non perdona e uccide o incalza.

Salvo il gregge cosi dal fiero scempio,
lo imbianca il rivo e in sua stagion lo tonde,
ma de le lane il fior consacra al tempio.

O Luigi, al cui zel tutto risponde,
segui di Tirsi l’onorato esempio,
e il buon pastor sarai di queste sponde.

(i) Il signor don Luigi Vittorelli fratello dell’autore, arciprete di Bassano.