Pagina:Vittorelli - Poesie, 1911 - BEIC 1970152.djvu/303

Guardate, questo pover mozzichino
di quel quondam tupé sol mi rimane,
che dice in suo linguaggio al pellegrino:
— Qui Babilonia fu, quivi fu Tane. —
Ed io certo ringrazio il mio destino
che spirò tal coraggio a le mie mane,
onde rotar le forbici potei
sui rigogliosi e lubrici capei.

13

Ma tornando al proposito di prima,
ripeto agli accademici lo stesso,
che per giungere al fine in vera stima
rivogliersi conviene al vago sesso.
Tenteria questi la castalia cima,
e l’uomo piú robusto e piú complesso
frattanto adopreria le braccia ignude
su la virile demostenea incude.

14

E ad esse negherebbonsi le prose
per la troppa fatica e il troppo ingegno:
del resto ne sarian di portentose
con quel capace e soprafino ingegno.

Io sono di parer fra l’altre cose
che allora troverebbesi un sostegno,
un mecenate, un padre, un protettore,
che poi facesse a raccademia onore.

15

Anzi piú di trecento mecenati
accetterebbon volentier l’offerta:
sariano i damerini avventurati
se venisse lor fatta egual profferta,
e quantunque ignoranti e scioperati,
star li vedresti nondimeno a l’erta,
fingendosi d’amar e prose e rime
per ottener l’ incarico sublime.