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Saturno, scoperse le fasi di Venere e di Marte, e nell’aprile dell’anno 1611, desiderato a Roma, vi andò; ed ivi fatti vedere i nuovi spettacoli del cielo, riputato da molto, venne ascritto nella famosissima Accademia de’ Lincei.

Nell’estate del 1611 ritornò in Firenze, e siccome il Galileo, per le sue prime scoperte dai Pisani invidiato e perseguitato, fu costretto di abbandonare la patria, così in processo per lo compasso di proporzione, pe’ monti della Luna, per le macchie del Sole, pe' satelliti di Giove, per le leggi di gravità, venne inviluppato miseramente in molte dispute da’ suoi nemici; ma sempre ottener seppe sopra di coloro vittoria. Nell’apologia però sulle macchie solari, manifestata avendo la sua opinione intorno al moto della terra ed alla immobilità del Sole, questo bastò all’ignoranza ed alla malignità perchè s’avesse pretesto di formalmente perseguitarlo. Il Galileo tuttavia mancar mai non seppe nè alla verità, nè a sè stesso, ed entrò in materia con una lettera, che nel 1616 scrisse alla duchessa Cristina di Lorena. Pochi periodi di quella bastar doveano a chiamar gli uomini al buon senso; ma nulla valsero. Pensò allora di recarsi a Roma, e vi comparve l’uomo religioso, ed anco filosofo. Per due fini vi si recò: l’uno, siccome diss’egli, per atterrare le macchine direttegli contro da tre potentissimi fabbri, ignoranza, invidia ed empietà; l’altro e più importante oggetto era di sostenere la causa di coloro, che erano intimamente persuasi del moto della terra, causa ch’era comune a tutti i saggi uomini, e quindi ottenere libertà di pensare, di ragionare e di scrivere nelle materie puramente filosofiche, e non risguardanti punto la religione. Or avvenne, che alcuni teologi e dentro e fuori di Roma ardirono di chiamar falsa e filosoficamente assurda quell’opinione, ed eretica in ciò che concerne l’immobilità del Sole, e pericolosa teologicamente quanto al moto diurno ed annuo della Terra; per le quali cose il dì 25 febbrajo I616 il cardinale Bellarmino impose al Galileo di non più sostenerla in veruna guisa. Il Galileo