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se l’antiveder qui non m’inganna,
Prima fien triste che le guance impeli
Colui che mo si consola con nanna.

Deh, frate, or fa che più non mi ti celi;
Vedi che non pur io, ma questa gente
Tutta rimira là dove ’l Sol veli.

Per ch’io a lui: se ti riduci a mente
Qual fosti meco, e quale io teco fui,
Ancor fia grave il memorar presente.

Di quella vita mi volse costui, ecc.

PURG. XXIII. 76-118.

Nei quali ultimi versi veggono gli espositori un cenno della vita allegra e viziosa anzi che no, condotta in quegli anni insieme dai due giovani Dante e Forese. Nè par dubbio; e tanto meno se vi si aggiunga e l’impenitenza di Forese nel peccato della gola, e ciò che di Dante vedremo poi anche più chiaro. Ma osservisi ne’ versi precedenti la virtuosa indegnazione di lui contro ogni vizio sfacciato e scandaloso: ei non fu almeno di quelli che aggiungono al vizio la colpa peggiore di scusarlo, o la pessima di trarne vanto.