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Così egli avvenne, perché quivi avendo dimorato ben nove anni, fece il maggior corso degli studi suoi, profondando in quello delle leggi e de' canoni, al quale il portava la sua obbligazione. E in grazia della ragion canonica inoltratosi a studiar de' dogmi, si ritruovò poi nel giusto mezzo della dottrina cattolica d'intorno alla materia della grazia, particolarmente con la lezion del Ricardo, teologo sorbonico (che per fortuna si aveva seco portato dalla libreria di suo padre), il quale con un metodo geometrico fa vedere la dottrina di sant'Agostino posta in mezzo, come a due estremi, tra la calvinistica e la pelagiana e alle altre sentenze che o all'una di queste due o all'altra si avvicinano. La qual disposizione riuscì a lui efficace a meditar poi un principio di dritto natural delle genti, il quale e fosse comodo a spiegare le origini del dritto romano ed ogni altro civile gentilesco per quel che riguarda la storia, e fosse conforme alla sana dottrina della grazia per quel che ne riguarda la morale filosofia. Nel medesimo tempo Lorenzo Valla, con l'occasione che da quello sono ripresi in latina eleganza i romani giureconsulti, il guidò a coltivare lo studio della lingua latina, dandovi incominciamento dalle opere di Cicerone.

Ma, vivendo egli ancora pregiudicato nel poetare, felicemente gli avvenne che in una libreria de' padri minori osservanti di quel castello si prese tra le mani un libro, nel cui fine era una critica, non ben si ricorda, o apologia di un epigramma di un valentuomo, canonico di ordine, Massa cognominato, dove si ragionava dei numeri poetici maravigliosi, spezialmente osservati in Virgilio; e fu sorpreso da tanta ammirazione che s'invogliò di studiare sui poeti latini, da quel principe facendo capo. Quindi, cominciandogli a dispiacere la sua maniera di poetar moderna, si rivolse a coltivare la favella toscana sopra i di lei prìncipi, Boccaccio nella prosa, Dante e Petrarca nel verso; e per vicende di giornate studiava Cicerone o Virgilio overo Orazio, appetto il primo di Boccaccio, il secondo di Dante, il terzo di Petrarca, su questa curiosità di vederne con integrità di giudizio le differenze. E ne apprese di quanto in tutti e tre la latina favella avvanzava l'italiana, leggendo sempre i più colti