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nelle Annotazioni e con altro nuovo, un edificio diverso. «Con estro quasi fatale» cominciò la mattina del Natale ’29 a colorire il nuovo disegno, consacrandovisi con tanta pertinacia, che giá il giorno di Pasqua del ’30 (9 aprile), dopo appena centosei giorni, durante i quali anch’egli era stato vittima dell’epidemia del catarro», cioè d’una grippe, che funestò allora tutta Europa, l’opera era bella e compiuta nel manoscritto. E si che questo, non ostante i propositi di brevitá, finí col superare di «tre fogli» la Scienza nuova prima e le Annotazioni messe insieme, e aggirarsi perciò intorno alle mille pagine (ridotte nel testo a stampa a 480, ma ciascuna di quaranta righe di minutissimo carattere di «testino»).

Precedevano una dedica epigrafica al Cardinal Lorenzo Corsini, divenuto, nelle more della stampa, Clemente XII, e una lunghissima Novella letteraria d’indole polemica (ma non priva, sembra, d’una digressione scientifica sull’origine della scrittura e della stampa), «dove intiere e fil filo si rapportavano le lettere del padre Lodoli» e del Vico intorno alla mancata edizione veneziana, «con le riflessioni che vi convenivano». Seguiva l’opera propriamente detta, con l’«occhio»: Trascelto delle annotazioni e dell’opera dintorno alla natura comune delle nazioni, in una maniera eminente ristretto ed unito e principalmente ordinato alla discoverta del vero Omero; e a essa faceva da appendice una Tavola d’indici, limitata, per altro, al solo nome di Giove.

La stampa cominciò presso Felice Mosca press’a poco nel luglio del ’30, data del parere del censore civile, al quale soltanto nell’ottobre segui l’altro del revisore ecclesiastico. Ed essa era giunta a piú della metá, allorché «un ultimo emergente anco nato da Venezia» (una lettera pacificatrice del Lodoli? un’intromissione dal residente Vincenti?) riuscí a convincere l’autore che la Novella letteraria non conveniva né a lui né all’opera. La soppresse quindi, inviandone al macero tutti i mille esemplari giá tirati (finora almeno non ne è venuto fuori nemmeno uno); e le 96 fitte pagine, ond’essa constava, furono riempite da una «dipintura» allegorica e da una «spiegazione», che, col titolo Idea dell’opera (su per giú la prefazione sintetica consigliata nel ’28 dal Conti), il Vico fece comporre in caratteri piú grossi. Inoltre, a composizione tipografica giá terminata, egli aggiunse ancora, in ultimo, i pareri per la stampa e quattordici pagine di Correzioni, miglioramenti e aggiunte e, in principio, con numerazione romana e col titolo Occasione di meditarsi quest’opera (rifusa, qualche mese dopo,