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A DIDIMO CHIERICO 233

ni letterati. Malgrado la sua naturale avversione contro chi scrive per pochi, ei dettò questi ricordi in lingua nota a rarissimi, affinchè, com’ei dice, i soli colpevoli vi leggessero i propri peccati, senza scandalo delle persone dabbene, le quali non sapendo leggere che nella propria lingua, sono men soggette all’invidia, alla boria, ed alla VENALITÀ: ho contrassegnato quest’ultima voce, perchè è mezzo cassata nel manoscritto. L’autore inoltre mi diè l’arbitrio di far tradurre quest’operetta, purchè trovassi scrittore italiano che avesse più merito che celebrità di grecista. E siccome, dicevami Didimo, uno scrittore di tal peso lavora prudentemente a bell’agio e con gravità, i maestri miei avranno frattanto tempo, o di andarsene in pace, e non saranno più nominati nè in bene nè in male; o di ravvedersi di quegli errori, attraverso de’ quali noi mortali giungiamo talvolta alla saviezza. Farò dunque che sia tradotto; e quanto alla stampa, mi governerò secondo i tempi, i consigli e i portamenti degli uomini dotti.

IV. Tuttavia, affinchè i lettori abbiano saggio dell’operetta greca, ne feci tradurre parecchi passi, e li ho, quanto più opportunamente potevasi, aggiunti alle postille notate da Didimo


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