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rispondere ad una disfida lustrale, se vogliono essere riammessi fra gli Svati. La Rakia, o acquavite si consuma prodigamente in sì fatte occasioni. Il dì seguente la Sposa, deposto il velo, e la berretta verginale, col capo scoperto assiste alla tavola degli Svati, ed è costretta ad ascoltare gli equivoci più grossolani, e le brutalità più ubbriachevoli dai convitati, che si credono in questi casi liberi dai ceppi della decenza loro abituale su certi propositi.

Queste feste nuziali, dette Zdrave dagli antichi Unni, sono chiamate Zdravize da’ nostri Morlacchi, d’onde certamente è derivata la voce Italiana stravizzo; elleno durano tre, sei, otto, e più giorni secondo il potere, o l’indole prodiga della famiglia, che dee farle. La novella Sposa ritrae de’ profitti considerabili in que’ giorni d’allegria, e quindi si forma il suo picciolo peculio; da che in dote non suol portare, che le proprie robbe, e una vacca: spesso accadendo, che i parenti di essa, invece di darne, ritraggano denaro dallo Sposo. Ella porta ogni mattina l’acqua alle mani degli Ospiti, ciascuno de’ quali dopo d’essersi lavate dee gettare qualche moneta nel catino; ed è ben giusto, che paghino qualche cosa allorchè si lavano coloro, che stanno talvolta de’ mesi interi senza mai farlo. L’uso accorda alle Spose la libertà di far delle burle agli Svati, nascondendo loro le Opanke, i berretti, i coltelli, o altre simili cose di prima necessità, cui deggiono riscattare con una somma di denaro tassata dalla compagnia. Oltre alle sopraccennate contribuzioni volontarie, e all’estorte, deve per rito ciascuno di essi far un regalo alla Sposa, che dal canto suo corrisponde con presentuzzi l’ultimo giorno delle Zdravize. Il Kuum, e lo Sposo portanli sopra sciable sguainate dinanzi al Domachin, che li distribuisce per ordine a tutti gli Sva-