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in morte di marco antonio dalla-torre. 339


    E più l’Adige stesso, per cui tolto
Il venerando frale a suol romito
120Fia dalla patria in nobil urna accolto,

    Acciò che lunge dal sepolcro avito
E dall’ossa de’ Turri, inglorïose
123Quelle spoglie non copra estranio lito.

    Allor voi tutte, o Naiadi vezzose,
D’Adige figlie, a piene man sovr’esse
126Nembi versate d’olezzanti rose.

    Tempo verrà, che di stupore oppresse
Fermando il passo, le più tarde genti,
129Quanto a costui, diranno, il ciel concesse!

    E gli scritti leggendo e i monumenti
Dell’estinto, talun serti votivi
132A’ muti appenderà Mani dormenti.

    Intanto, o Ninfe, voi che i cento rivi
Dal Benaco traete, e tu che l’onde
135Devolvi, o Sarca, dagli alpini clivi;

    Voi dirupi di Naco, e voi profonde
Di Briano vallee, selve cui bruna
138Ombra ravvolge di perpetue fronde,