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pretazione della Natura, mentre da un nuovo ordinamento dei principî suggeriti e rinvigoriti da fatti nuovi, non solo può trarre profitto la matematica, ma la stessa filosofia.

La filosofia deve perciò accettare le nuove idee matematiche quando esse sieno formate definitivamente. Però se le ricerche matematiche si devono distinguere dalle filosofiche, è opportuno d’altro canto che il matematico si astenga dal giustificare i suoi concetti con considerazioni filosofiche o con finzioni che si prestano facilmente alla critica del filosofo, come fanno ad esempio l’empirista e l’idealista del Du Bois Reymond, o come fece talora il Cantor per giustificare i suoi numeri transfiniti, i quali hanno una legittima esistenza, nonostante anche recenti critiche filosofiche. Ma d’altro canto per timore di queste critiche il matematico non deve trincerarsi in un campo puramente astratto o in un formalismo simbolico mostrandosi indifferente dinanzi a questioni di contenuto matematico, come è accaduto in passato e accade ancora al presente, quando si confonde la geometria con la teoria generale delle varietà di elementi puramente astratte.

Epperciò è preferibile che l’ordinamento dei nuovi principî risponda allo svolgimento logico e più semplice delle idee matematiche e quindi il metodo non sia artificio senza vita o non appaia giuoco di simboli o di parole, per quanto utile, ma sia filosofico. Così la matematica può essere anche utile alle ricerche filosofiche intorno alla genesi delle idee matematiche, allo stesso modo che essa ha pure per compito di essere utile alle scienze applicate che hanno per oggetto diretto lo studio dei fenomeni della Natura scegliendo i metodi approssimativi a questo fine più appropriati. E quando invece si segue un metodo indiretto, rappresentando ad es. lo spazio mediante una varietà a più variabili per studiarne i principî, è necessario esaminare se seguendo il contenuto dello spazio stesso, o la sua costruzione, i postulati di detta varietà possano essere giustificati senza ricorrere a concetti che con quei postulati vengono definiti, ciò che costituirebbe una petizione di principio e filosoficamente un errore.

Sulla scelta del metodo sono d’accordo i più eminenti matematici. Il Du Bois Reymond notava che se nelle operazioni coi segni nella matematica pura non si bada più al loro significato, nella discussione dei concetti fondamentali della matematica non si deve dimenticare la loro origine; e per la geometria Newton osservava giustamente che la semplicità della figura dipende dalla semplicità della genesi delle idee, cioè non dalla loro equazione, ma dalla loro descrizione, e Gauss affermava che i mezzi logici per la concatenazione e la rappresentazione delle verità geometriche per sè nulla possono produrre e soltanto germogliano senza frutto, quando la feconda e vificatrice intuizione non domini dappertutto. In modo analogo si esprimono il Weierstrass, il Lie, il Klein ed altri. E a questi concetti si uniformano i miei «Fondamenti di geometria e in modo speciale nella genesi della geometria non-archimedea». Sta il fatto però che questo metodo, senza l’appoggio dell’analisi, quando non supponga anzi nulla di matematicamente noto, riesce nella lettura più malagevole e soltanto negli ultimi anni in Italia e fuori il metodo basato sul puro ragionamento va prevalendo nelle ricerche sui principî della geometria. Tutti ricordano la sorte toccata all’Ausdehnungslehre del Grassmann del 1844, certo migliore per metodo a quella del 1862.