Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/46


Era davvero una cosa straordinaria, e si doveva credere che l’isola Tabor non fosse abitata, o non lo fosse più. Forse anche il documento aveva molti mesi o molti anni di data, ed era possibile, in questo caso, o che il naufrago fosse tornato in patria o che fosse morto di miseria.

Pencroff, Gedeone Spilett ed Harbert, formando ipotesi più o meno plausibili, desinarono alla lesta a bordo del Bonaventura, per modo da continuare la loro escursione fino a notte; gli è ciò che fu fatto alle cinque pomeridiane: ora in cui s’avventurarono sotto i boschi.

Molti animali fuggirono al loro appressarsi, e principalmente, si potrebbe anzi dire unicamente, capre e porci, che, era facile vederlo, appartenevano alle razze europee. Senza dubbio, qualche baleniere li aveva sbarcati sull’isola, ove s’erano rapidamente moltiplicati. Harbert promise a sè stesso di prenderne una o due coppie vive per portarle all’isola Lincoln.

Non era dunque più dubbio che degli uomini, non importa in qual tempo, avevano visitato l’isolotto. E ciò apparve anche più evidente quando a traverso la foresta si videro sentieri tracciati, tronchi d’alberi atterrati a colpi d’accetta e da per tutto i segni del lavoro umano; ma codesti alberi che imputridivano erano stati atterrati già da molti anni, chè le tacche dell’accetta si vedevano coperte di muschio e le erbe crescevano lunghe e fitte attraverso i sentieri irriconoscibili.

— Ma, fece osservare Gedeone Spilett, ciò prova che non solamente sbarcarono degli uomini in quest’isolotto, ma che lo abitarono per un certo tempo. E chi erano costoro? E quanti erano? E quanti ne rimangono?

— Il documento, disse Harbert, non parla che d’un solo naufrago.