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Si giudichi della gioja del piccolo equipaggio del Bonaventura! Fra qualche ora egli doveva essere sul litorale dell’isola.

L’isola Tabor, specie di costa bassa a malapena emersa dai flutti, non era lontana più di 15 miglia. La prua del Bonaventura, che era un po’ nel sud dell’isola, vi fu diretta proprio incontro, e mano mano che il sole saliva nell’est alcune vette si staccavano qua e colà.

— Non è che un isolotto molto meno importante dell’isola Lincoln, fece osservare Harbert, e probabilmente dovuto, al par di essa, a qualche solleva mento sottomarino.

Alle undici del mattino il Bonaventura non era più che a due miglia dalla costa, e Pencroff, cercando un passo per approdare, camminava con estrema prudenza su quelle acque incognite. Si abbracciava allora coll’occhio tutto l’isolotto, su cui si staccavano gruppi d’alberi di gomma verdeggianti, e qualche altro grand’albero del genere di quelli che crescevano nell’isola Lincoln. Ma, cosa che faceva stupore, non si vedeva alcun fumo sollevarsi ad indicare che l’isolotto fosse abitato, non appariva alcun segnale sopra un punto qualsiasi della spiaggia.

Eppure il documento era chiaro: vi era un naufrago, e codesto naufrago avrebbe dovuto essere alle vedette!

Frattanto il Bonaventura s’avventurava fra i passi capricciosi che le scogliere lasciavano fra di loro e di cui Pencroff osservava ogni minima sinuosità colla massima attenzione. Egli aveva messo Harbert al timone, e, stando a prua, esaminava le acque, pronto ad ammainare la vela di cui teneva in mano la drizza. Gedeone Spilett guardava col cannocchiale tutta la spiaggia, senza veder nulla.

Finalmente, al mezzodì circa, il Bonaventura venne ad urtare colla ruota di prua in un greto di sabbia.