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Gedeone Spilett cianciava coll’uno, coll’altro, ed all’occorrenza, dava mano alla manovra. Il capitano Pencroff era pienamente soddisfatto del suo equipaggio e prometteva nientemeno che una gratificazione d’un “quartuccio di vino ad ogni bordata!” Alla sera la falciuola della luna, che doveva entrare nel primo quarto il 16, si disegnò nel crepuscolo solare e subito si spense. La notte buja, ma molto stellata, prometteva una bella giornata anche pel domani. Pencroff, per prudenza, ammainò la vela di freccia, non volendo esporsi ad essere sorpreso da qualche impeto di vento con una vela spiegata in cima all’albero. Era forse un eccesso di precauzione in una notte così placida, ma Pencroff era marinajo prudente, e non si sarebbe potuto biasimarlo.

Il reporter dormì parte della notte. Pencroff ed Harbert si diedero il cambio ogni due ore al timone.

Il marinajo fidava in Harbert come in sè medesimo e la sua fiducia era giustificata dalla sua freddezza d’animo e dal senno del giovinetto. Pencroff gli indicava la rotta come fa un comandante al suo timoniere, ed Harbert non lasciava deviare il Bonaventura nemmanco d’una linea. La notte fu passata bene e la giornata del 12 ottobre trascorse nelle medesime condizioni. La direzione al sud-ovest fu sempre mantenuta rigorosamente, e se il Bonaventura non era spinto da qualche incognita corrente, doveva approdare precisamente nell’isola Tabor.

Quanto a quel mare percorso allora dal battello, era assolutamente deserto. A volte qualche grosso uccello, albatro o fregata, passava a tiro di fucile, e Gedeone Spilett si domandava se non era ad uno di quei poderosi volatili ch’egli aveva affidato l’ultima cronaca indirizzata al New York Herald. Codesti uccelli erano i soli esseri che sembravano abitare quella parte di oceano compresa fra l’isola Tabor e l’isola Lincoln.