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di lava fluida cadevano come pioggia sul suolo. Il cratere s’empì nuovamente di lave che traboccarono da tutti gli orli del vulcano. Il torrente corse alla superficie dei tufi induriti e finì di distruggere i magri scheletri d’alberi che avevano resistito alla prima eruzione. E la corrente, seguendo stavolta la riva sud-ovest del lago Grant, si portò al di là del rivo Glicerina ed invase l’altipiano di Lunga Vista.

Quest’ultimo colpo portato all’opera dei coloni fu terribile. Del mulino, dei fabbricati, del cortile, delle stalle, più nulla restava, ed i volatili spaventati sparirono in tutte le direzioni. Top e Jup davano indizi del massimo terrore, ed il loro istinto li avvertiva che era vicina una catastrofe.

Buon numero degli animali dell’isola erano periti nella prima eruzione. I superstiti non trovarono altro rifugio fuorchè l’acquitrino delle Tadorne, salvo alcuni ai quali l’altipiano di Lunga Vista offrì asilo. Ma quest’ultima ritirata fu contesa alla fine, ed il fiume di lave, scavalcando la cresta della muraglia di granito, continuò a precipitare sulla spiaggia le sue cataratte di fuoco.

Il sublime orrore di questo spettacolo sfugge ad ogni descrizione. Durante la notte si sarebbe detto un Niagara di bronzo liquido co’ suoi vapori incandescenti in alto e le sue masse ribollenti al basso.

I coloni erano ridotti alla loro ultima trincea, e benchè le coste superiori della nave non fossero peranco calatafate, risolvettero di metterla in mare.

Pencroff ed Ayrton procedettero adunque ai preparativi del varamento, che doveva aver luogo il domani, nella mattina del 9 marzo.

Ma in quella notte, dall’8 al 9, un’enorme colonna di vapori, sfuggendo dal cratere, salì, in mezzo a spaventose detonazioni, a oltre tremila piedi d’altezza. Le pareti della caverna Dakkar avevano evidentemente ceduto sotto la pressione dei gas, ed il mare, preci-