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render loro dei gran servigi, e con quel bel tempo, con quella brezza favorevole la passeggiata fu deliziosa. Pencroff si spinse al largo a tre o quattro miglia dalla costa, in faccia al porto Pallone. L’isola apparve allora in tutto il suo contorno e sotto un nuovo aspetto, col panorama variato del suo litorale, dal capo Artiglio al promontorio del Rettile, co’ suoi primi piani di foreste in cui le conifere spiccavano dal fogliame giovane degli altri alberi appena in germoglio, col monte Franklin che si ergeva su tutto e la cui vetta era imbiancata da un po’ di neve.

— Come è bello! esclamò Harbert.

— Sì, la nostra isola è bella e buona, rispose Pencroff, io le voglio bene, come voleva bene a mia madre. Essa ci ha ricevuti poveri e privi d’ogni cosa; ed ora che manca ai cinque figliuoli che le sono caduti dal cielo?

— Nulla! rispose Nab, nulla, capitano!

Ed entrambi mandarono tre formidabili evviva in onore dell’isola. Frattanto Gedeone Spilett, appoggiato ai piedi dell’albero, disegnava il panorama che si svolgeva sotto gli occhi suoi. Cyrus Smith guardava in silenzio.

— Ebbene, signor Cyrus, disse Gedeone Spilett, che ne dite del nostro battello!

— Pare si porti bene, rispose l’ingegnere.

— Buono! E credete ora che potrebbe intraprendere un viaggio un po’ lungo?

— Qual viaggio, Pencroff?

— Quello dell’isola Tabor, per esempio.

— Amico mio, rispose Cyrus Smith, credo che in un caso urgente non dovremmo esitare ad affidarci al Bonaventura anche per una traversata più lunga; ma, lo sapete, vi vedrò partire con dispiacere per l’isola Tabor, poichè nulla vi obbliga ad andarvi.

— Si ama conoscere i vicini, rispose Pencroff, il quale si ostinava nella propria idea. L’isola Tabor è