Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/346



Per due gole, scavate nei suoi fianchi, al sud ed all’est, traboccavano di continuo le lave, formando due correnti distinte. Al disopra del nuovo cratere una nuvola di fumo e di ceneri si confondeva coi vapori del cielo, addensati sopra l’isola; si udivano scoppi di folgore confusi col brontolio della montagna, dalla cui bocca si avventavano massi infuocati, che, spinti a più di mille piedi, scoppiavano nelle nuvole e si disperdevano come mitraglia. Il cielo rispondeva coi lampi all’eruzione vulcanica.

Verso le sette del mattino, i coloni che si erano rifugiati nel lembo del bosco di Jacamar, non potevano durare più oltre. Non solo i projettili cominciavano a correre intorno ad essi, ma le lave, straripando dal letto del rivo Rosso, minacciavano di tagliare la via del ricinto.

Gli alberi delle prime file presero fuoco, e la loro linfa, trasformata di un tratto in vapore, li fece scoppiare come fuochi d’artifizio, mentre altri meno umidi rimanevano intatti in mezzo all’inondazione.

I coloni avevano preso la via del ricinto camminando lentamente, rinculoni, per così dire. Ma in causa dell’inclinazione del suolo, il torrente guadagnava in rapidità all’est, e quando gli strati inferiori delle lave si erano induriti, altre zone bollenti li ricoprivano tosto.

Frattanto la principale corrente della valle del rivo Rosso diveniva sempre più minacciosa. Tutta quella parte della foresta era infuocata, ed enormi volute di fumo si svolgevano sulle vette degli alberi, il cui tronco già crepitava nella lava.

I coloni s’arrestarono presso al lago, a mezzo miglio dalla foce del rivo Rosso. Or si doveva decidere per essi una quistione di vita o di morte. Cyrus Smith, abituato a tener nota delle situazioni gravi, e sapendo d’aver a fare con uomini ca paci d’intender il vero, disse allora: