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— Ora, signori, ora, disse, che conoscete la mia vita, giudicate.

Così parlando, il capitano faceva evidentemente allusione al grave incidente di cui i tre stranieri gettati a bordo del suo Nautilus erano stati testimonî, incidente che necessariamente il professore francese aveva raccontato nella sua opera e che aveva avuto un’eco terribile.

Infatti alcuni giorni prima della fuga del professore e dei suoi due compagni, il Nautilus, inseguito da una fregata nell’Atlantico, si era precipitato come un’ariete sovr’essa e l’aveva colata a fondo senza misericordia.

Cyrus Smith comprese l’allusione, e non rispose.

— Era una fregata inglese! esclamò il capitano ridivenuto un istante il principe Dakkar, una fregata inglese, capite? e mi assaliva: ero chiuso in una baja stretta e poco profonda, mi bisognava passare e... sono passato!

Poi con voce più tranquilla:

— Io era nella giustizia e nel diritto, aggiunse; ho fatto dappertutto il bene che mi fu possibile, ed anche il male che dovevo fare. La giustizia non sta solo nel perdonare.

Seguirono alcuni istanti di silenzio, ed il capitano Nemo pronunziò di nuovo questa frase:

— Che pensate voi di me, signore?

Cyrus Smith porse la mano al capitano, ed alla sua domanda rispose con accento grave:

— Capitano, il vostro torto è di aver creduto che si potesse risuscitare il passato; voi avete lottato contro il progresso necessario; fu uno di quegli errori che ammirano gli uni e biasimano gli altri, di cui Dio solo è giudice e che la ragione umana deve assolvere. Colui che s’inganna in una ragione, che crede buona, si può combatterlo, ma non si cessa di stimarlo. Il vostro errore è di quelli che non esclu-