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Il capitano Nemo aveva salvato Cyrus Smith, e fu egli pure che condusse il cane ai Camini, che gettò Top fuori delle acque del lago, che fece trovar fuori della punta del Rottame quella cassa contenente tanti oggetti utili per i coloni, che rimandò il canotto nella corrente della Grazia, che gettò la fune dal Palazzo di Granito durante l’invasione delle scimmie, che fece conoscere la presenza di Ayrton all’isola Tabor con un documento chiuso nella bottiglia, che fece scoppiare il brik con una torpedine messa in fondo al canale, e salvò Harbert da morte certa recando il solfato di chinino; egli finalmente che colpì i deportati con quelle palle elettriche di cui aveva il segreto e che adoperava nelle sue caccie sottomarine.

Così si spiegavano tanti incidenti, che dovevano sembrar soprannaturali e che tutti attestavano la potenza e la generosità del capitano. Pure, quel gran misantropo aveva sete di bene. Gli rimanevano utili avvertimenti da dare ai suoi protetti, e, d’altra parte, sentendo battere il proprio cuore ridonato a sè stesso, all’accostarsi della morte, chiamò, come è noto, i coloni del Palazzo di Granito a mezzo d’un filo col quale aveva congiunto il ricinto al Nautilus, che era munito d’apparecchio alfabetico... forse non l’avrebbe fatto se avesse saputo che Cyrus Smith conosceva tanto la sua storia da salutarlo con quel nome di Nemo.

Il capitano aveva terminato il racconto della sua vita.

Cyrus Smith prese allora la parola, ricordando tutti gli incidenti che avevano esercitato sulla colonia una sì salutare influenza, ed in nome dei compagni ed in nome suo ringraziò l’essere generoso al quale doveva tanto.

Ma il capitano Nemo non pensò a reclamare il prezzo dei servigi che aveva reso. Un ultimo pensiero agitava il suo spirito, e prima di stringere la mano che gli presentava l’ingegnere: