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luce che illuminava l’enorme cripta così profondamente scavata nelle viscere dell’isola.

Fu allora possibile esaminare la caverna, di cui nulla aveva potuto far sospettare l’esistenza.

Ad un’altezza di cento piedi s’incurvava una vôlta, sorretta da pilastri di basalto, che sembravano essere stati gettati in una stessa forma.

Volute irregolari e nervature capricciose s’appoggiavano su queste colonne che la natura aveva rizzate nelle prime epoche della formazione del globo.

I massi basaltici, incassati l’uno nell’altro, misuravano da quaranta a cinquanta piedi d’altezza, e l’acqua tranquilla, malgrado le agitazioni esterne, veniva a bagnarne la base.

Il vivo bagliore di quella luce segnalata dall’ingegnere, gettando punte di fuoco sopra ogni cresta prismatica, penetrava, per così dire, le pareti, come se fossero state diafane, e mutava in gemme greggie e scintillanti ogni sporgenza della substruzione.

Per un fenomeno di riflessione, l’acqua riproduceva i varî bagliori alla superficie, in guisa che il canotto sembrava librarsi fra due zone scintillanti.

Non era luogo a dubbio sulla natura della luce gettata dal centro luminoso, i cui raggi netti e rettilinei si frangevano a tutti gli angoli, a tutte le nervature della cripta; era luce proveniente dall’elettricità, e il colore bianchiccio ne svelava l’origine. Quella era il sole della caverna e la invadeva tutta.

Ad un cenno di Cyrus Smith i remi ricaddero facendo spruzzare una vera pioggia di scintille, e il canotto si diresse verso il focolare luminoso da cui non distò in breve che mezza gomena.

In quel luogo la larghezza della zona d’acqua misurava circa 350 piedi, e si poteva scorgere, oltre il centro abbagliante, un enorme muro basaltico che chiudeva da quella parte ogni uscita. La caverna si era dunque allargata di molto; ed il mare vi for-