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Si avrebbe potuto credere che il monte lanciasse fiamme.

Alle undici meno qualche minuto i coloni erano giunti sul lembo superiore che dominava l’oceano dell’ovest. Si era levato il vento. La risacca muggiva a cinquecento piedi più sotto.

Cyrus Smith calcolò che i suoi compagni ed egli avessero percorso un buon miglio e mezzo dal ricinto.

A questo punto il filo si cacciava fra le roccie seguendo il rapido pendio d’un burrone stretto e tracciato capricciosamente.

I coloni si misero per quel sentiero, a rischio di cagionare qualche franamento di macigni mal equilibrati e di essere precipitati in mare. La discesa era estremamente perigliosa; ma essi non badavano al pericolo, non erano più padroni di sè medesimi, una irresistibile attrazione li attirava verso quel punto misterioso come la calamita attira il ferro.

Epperò discesero quasi inconsciamente in quel burrone, che anche in piena luce sarebbe stato, per così dire, impraticabile. Le pietre rotolavano e splendevano come bolidi infiammati quando attraversavano le zone di luce. Cyrus Smith andava innanzi a tutti; Ayrton veniva ultimo.

Ora essi andavano passo passo, ora invece scivolavano sulla rupe liscia, poi si risollevavano e continuavano la loro via.

Finalmente il filo, piegando bruscamente, toccò le rupi del litorale, vero viluppo di scogli che le grandi maree dovevano percuotere. I coloni erano giunti al limitare inferiore della muraglia basaltica.

Colà si svolgeva una stretta spalla, che correva parallelamente al mare. Il filo la seguiva, ed i coloni seguirono il filo. Non avevano fatto cento passi, che la spalla, inchinandosi con lieve pendio, giunse fino al livello medesimo delle onde.