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vano immobili e silenziosi. Non un soffio agitava le foglie, solo il passo dei coloni risuonava nell’ombra sul terreno indurito.

Nel primo quarto d’ora di cammino il silenzio non fu interrotto se non da questa osservazione di Pencroff:

– Avremmo dovuto prendere un fanale.

E da questa risposta dell’ingegnere:

– Ne troveremo uno al ricinto.

Cyrus Smith ed i suoi compagni avevano lasciato il Palazzo di Granito alle 9 e 12 minuti; alle 9 e 47 avevano percorso una distanza di tre miglia che separavano la foce della Grazia dal ricinto.

In quel momento gran baleni biancheggianti si accendevano sopra l’isola e disegnavano in nero i contorni del fogliame. Questi baleni intensi abbagliavano ed acciecavano. Evidentemente l’uragano non poteva tardare a scatenarsi. I lampi divennero a poco a poco più frequenti e più luminosi, brontolii lontani rumoreggiavano nelle profondità del cielo. L’atmosfera era soffocante. I coloni andavano come se fossero stati spinti innanzi da qualche forza irresistibile.

Alle 10 e ¼ un vivo lampo mostrava loro la cinta di palizzate, e non anco ne avevano varcato la porta che il tuono scoppiava con violenza formidabile.

In un istante il ricinto fu attraversato, e Cyrus Smith si trovò in faccia all’abitazione.

Era possibile che la casa fosse occupata dall’incognito, poichè dalla casa medesima il telegramma aveva dovuto partire. Pure nessuna luce ne illuminava la finestra.

L’ingegnere picchiò all’uscio.

Nessuna risposta.

Cyrus Smith aprì la porta ed i coloni entrarono nella camera, che era profondamente oscura.

Nab battè l’acciarino, ed un istante dopo il fanale acceso illuminava tutti gli angoli della camera.