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D’improvviso, Pencroff, mandando un grido, mostrò un oggetto sulla tavola....
Era una scatoletta bislunga, sul cui coperchio stava scritto:
Solfato di chinino.
CAPITOLO XI.
Gedeone Spilett prese la scatola e l’aprì. Conteneva circa dugento grani d’una polvere bianca, di cui assaggiò alcune particelle colla lingua. L’estrema amarezza di quella sostanza non lo poteva ingannare: era proprio il prezioso alcaloide della quinquina, il febbrifugo per eccellenza.
Bisognava senza esitare amministrar quella polvere ad Harbert. Quanto al discutere come si trovasse là, rimaneva tempo.
– Del caffè, domandò Gedeone Spilett.
Alcuni istanti dopo, Nab portava una chicchera dell’infusione tiepida. Gedeone Spilett vi buttò entro diciotto grani di chinino e si riuscì a far bere la mistura ad Harbert.
Era tempo ancora, perchè il terzo accesso della febbre perniciosa non si era manifestato!
E sia permesso aggiungere che non doveva tornare.
D’altra parte, giova pur dirlo, tatti avevano ripreso speranza. L’influenza misteriosa si era di nuovo fatta palese, ed in un momento supremo, quando già si disperava di essa.