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Il domani, 8 dicembre, non fu che una successione di debolezze. Le mani dimagrate di Harbert si con traevano afferrando le lenzuola. Gli erano state amministrate nuove dosi di corteccia di salice pesta, ma il reporter non ne aspettava alcun frutto.

– Se prima di domani mattina non gli abbiam dato un febbrifugo più forte, Harbert sarà morto!

Giunse la notte – l’ultima certamente di quel fanciullo coraggioso, buono, intelligente, così superiore all’età sua e da tutti amato come figlio. Il solo rimedio che esistesse contro la terribile febbre perniciosa, il solo specifico che potesse domarla non si trovava nell’isola Lincoln!

Nella notte dal 9 al 10 dicembre Harbert fu colto da un delirio più intenso; la congestione del suo fegato era orribile, il suo cervello era così intaccato che gli era impossibile riconoscere chicchessia. Doveva egli vivere fino al domani, fino al terzo accesso, che certamente l’avrebbe ucciso? Non era cosa probabile. Le sue forze erano esauste, e nell’intervallo della crisi il povero infermo sembrava esanime.

Verso le tre del mattino, Harbert mandò un grido spaventoso e parve che si contorcesse in una suprema convulsione. Nab, che gli stava al fianco, si precipito, spaventato, nella camera vicina, dove vegliavano i suoi compagni.

In quel mentre, Top latrò in modo strano.

Rientrarono subito e riuscirono a tener fermo il morente, che voleva gettarsi fuori del letto, mentre Gedeone Spilett, pigliandogli il braccio, sentiva il polso tornare a poco a poco....

Erano le cinque del mattino; i raggi del sole nascente cominciavano ad entrare nel Palazzo di Granito. S’annunciava una bella giornata, l’ultima del povero Harbert?... Un raggio giunse fino alla tavola che era presso al letto.